Raccontare le emozioni di una vittoria tra le Dolomiti è sempre difficile, ma mai come in questa occasione, ho "registrato" tutto ciò che la mia mente, i miei occhi ed il mio cuore hanno visto lungo la strada.
I (tanti) dubbi della vigilia
I giorni precedenti la gara sono stati, forse, i più difficili di tutta la mia stagione. Dubbi e incertezze stavano rovinando quanto di buono avevo fatto fino a quel momento: gli stage in altura tra Sestriere e Monte Bianco, i durissimi allenamenti estivi e quel folle viaggio zaino in spalla più per temprare la mente che allenare il fisico, avevano appesantito le mie gambe ma, soprattutto, stavano minando le mie certezze. Il titolo tricolore era ormai una chimera. Vincere non sarebbe bastato a riconfermarmi campione d'Italia. Il mercoledì antecedente, salendo la salita di Cormet des Roselend, però, ho cercato di ascoltarmi nel silenzio della montagna. E' stato proprio in quel momento, in cima ad una delle montagne che aveva colorato il mio successo al Tour du Mont Blanc 2015, che ho capito che arrendersi non sarebbe stato giusto. Sarei partito per la Ultracycling Dolomitica per bissare il successo 2015. Volevo a tutti i costi dimostrare, ancora una volta, che quella maledetta caduta alla Race Across Italy era stato un episodio sfortunato. Da quel giorno, con rabbia e determinazione, avevo inseguito i successi alla Dolomitics24 e alla Ultracycling 3 Confini, per cui avrei fatto lo stesso con quella che si preannunciava come una delle gare più dure d'Europa.
La partenza
Dopo tanti anni spesi macinando chilometri e prendendo parte a competizioni così estreme, si innescano degli automatismi che la nostra mente ripete a memoria senza bisogno di alcun ripasso. Lo sguardo rivolto verso il basso per un'ultima "preghiera" affinchè tutto vada nel migliore dei modi, il saluto in radio al mio team, i sorrisi di rito sulla pedana di partenza e via. In un attimo la competizione è iniziata. I primi chilometri ho le sensazioni giuste: la gamba sembra girare male, sulla salita di Combai e successivamente su quella di Madean/Pianezze fatico molto. Solitamente le partenze "peggiori" nascondono le giornate "migliori". Quantomeno mi è sempre capitato!
Duello tricolore sul Monte Grappa
A metà della salita del Monte Tomba-Cima Grappa, inizio a vedere e raggiungere i corridori partiti prima di me. Benchè siano gare molto lunghe e ci sia tutto il tempo per stabilire le gerarchie di classifica, da sempre una forte iniezione di morale recuperare chi è partito prima di te. Mentalmente memorizzo i pettorali dei corridori che riesco a sopravanzare, impegnando la mia mente in rapidi calcoli e contando i distacchi inflitti. Questo mi aiuta a far passare il tempo e a "caricare" il morale! Ma è quando vedo davanti a me l'ammiraglia del leader della classifica del campionato italiano che decido che è giunto il momento di fare sul serio. Lo affianco, ci scambiamo un sorriso ed un rapido saluto (c'è stima reciproca e profondo rispetto, base fondamentale per un duello sano per quanto acceso. Decido che non è il caso di provare a staccarlo: voglio studiare la sua andatura e cercare di capire eventuali punti deboli. Non basterà finire davanti a lui. Dovrei vincere la gara e sperare che lui non concluda la sua prova! Per questo provo a provocarlo agonisticamente, sperando che, nel tentativo di seguirmi, bruci quelle energie necessarie a concludere una fatica lunga 624 km e oltre 16 mila metri di dislivello. Quando capisco, però, che nulla potrebbe scalfire la sua convinzione di concludere la gara mi rassegno all'idea che il tricolore sia ormai storia passata. C'è ancora una gara da vincere però! Per questo accelero e decido che non avrei provato a vincere, bensì, avrei recuperato tutti i corridori partiti prima di me. Anche un certo francese Roland Chavent, vecchia conoscenza (vincitore del Tour du Mont Blanc 2013 e 2014) e fortissimo rivale in salita.
Cavalcata solitaria e duello dolomitico
E' in questo momento che imposto il mio ritmo. Ad ogni salita, e successiva discesa, recupero minuti rispetto ai 40 di vantaggio con cui il francese è partito prima di me fino a raggiungerlo risalendo la Val di Fiemme. Ed è qui che inizia uno dei duelli più belli cui abbia mai preso parte. Il francese, anzichè abbattersi, tira fuori tutto il suo orgoglio rispondendo colpo su colpo alle mie accelerazioni. Il Passo San Pellegrino diventa il teatro di una sfida ai limiti della follia: con oltre 300 km nelle gambe questo tipo di variazioni possono compromettere il proseguimento della nostra gara ma sembra non interessare nè a me nè al mio rivale. Ci gettiamo in discesa dove so di poter fare la differenza grazie alla guida esperta di Michele che è al volante della mia ammiraglia di supporto. Purtroppo una foratura a quasi 50 km/h mi costringe ad un rapido pit stop. Nonostante ciò riesco a raggiungere e staccare Roland, tenendo tra me e lui circa 10 minuti di distacco in mio favore fino alla cima del Passo Fedaia. Le dure rampe della Marmolada dal suo versante più difficile mi hanno messo le ali! In cima decido di fare una sosta più lunga: cambio di vestiario e qualcosa di piu sostanzioso da mangiare. Nel frattempo sopraggiunge Roland il quale, per annullare il mio distacco, riparte immediatamente anche se perderà ancora le mie ruote in discesa. Sul Pordoi riesce nel tentativo di raggiungermi e si inscena il terzo atto del nostro personalissimo duello. Questa volta è lui ad infliggere attacchi taglienti come rasoiate. Riesco a resistere pù con la testa e l'orgoglio che con le gambe: so bene che se mollassi in questo istante, il suo morale salirebbe alle stelle e sarebbe difficile recuperare. Per questo, dopo l'ennesimo scatto, decido di scavare nel profondo per trovare le energie necessarie per un ultimo scatto. Un chiaro messaggio che spegne la sua voglia di provare a staccarmi. Quasi a voler dire "Hey Roland, sono morto, ma non mi staccherò facilmente".
Il momento della crisi
Durante prove cosi lunghe ed estenuanti la crisi è sempre lì, in agguato, e solitamente ti colpisce quando meno te l'aspetti. Senza alcun preavviso. Nel mio caso è arrivata ai piedi della salita al Passo Valparola. Appena superato l'abitato di San Cassiano vengo raggiunto e staccato dal francese senza potermi opporre. Lo vedo andar via senza riuscire a inscenare nessun tentativo di difesa. I minuti di ritardo si accumulano finchè non ho bisogno di fermarmi in ammiraglia per mangiare qualcosa e cercare di riprendermi. I successivi chilometri sono un calvario: la cima del Valparola diventa una liberazione. Durante la successiva scalata al Passo Giau mi viene comunicato che il distacco è di circa 20 minuti. Al netto dei 40 minuti di vantaggio con cui era partito, avevo ancora 20 minuti. Un bottino da custodire e amministrare. Ormai la crisi era passata ed il sorgere del sole stava riaccendendo anche la mia voglia di raggiungerlo e di arrivare prima di lui.
La lotta finale
Le salite di Passo Staulanza, Duran e Forcella Aurina sono state il trampolino di lancio per la mia rimonta. Il vantaggio è andato via via diminuendo. In cima a Forcella Aurina pochi minuti mi separavano da Roland. La successiva discesa tortuosa nella Valle del Mis che conoscevo a memoria, è stata il mio trampolino di lancio. In pochi chilometri riesco a raggiungere il francese e senza pensarci due volte urlo in radio di seguirmi non appena riusciranno anche loro ad uscire dal traffico. Inizio a guadagnare un vantaggio che oscillerà tra i 6 e i 9 minuti sulle salite del Nevegal e del Pian di Cansiglio. A questo punto il più è fatto. Mancano 50 km all'arrivo e solo il Muro di Cà del Poggio. Mi segnalano che il francese è in rimonta, ma dentro di me mi dico che, anche nella peggiore delle ipotesi, qualora mi dovesse riprendere mi dovrebbe infliggere 40 minuti di distacco in 40 km. Sulle ali di questo entusiasmo scalo il Muro di Cà del Poggio nella maniera più veloce possibile. Gli ultimi 12 km sono una splendida cavalcata solitaria. Il francese ha ormai ceduto e all'arrivo giungerà con ben 50 minuti di ritardo.
Quando intravedo il cartello "Cison di Valmarino" capisco che ormai è fatta. Sento il pubblico e lo speaker urlare il mio nome, stacco le mani dal manubrio, chiudo gli occhi un'ultima volta. Mi dico "Ce l'hai fatta Omar.. ce l'hai fatta di nuovo". Levo le mani al cielo, un ultimo saluto simbolico a chi mi ha accompagnato in queste splendide 29 ore. Bacio per l'ultima volta il tricolore che porto sul petto. L'ho onorato al massimo delle mie possibilità. Per il secondo anno consecutivo riesco a vincere la Ultracycling Dolomitica sul percorso di 624 km in meno di 30 ore, 29 e 38 minuti per l'esattezza, rimanendo attualmente l'unico in grado di infrangere la barriera delle 30 ore.
La gioia è immensa. E se questo è stato solo un sogno lasciatemi dormire ancora un pò...