Che nome ha la fatica? I suoi connotati li conosco benissimo, ormai. Le gambe che tremano, il freddo che si impossessa di ogni più piccola parte di te. Gli occhi che diventano così piccoli che sembrano sparire. Le mani incapaci di azionare le leve del cambio come dovrebbero.
Che nome ha, però, tutto ciò?
“Follia”
“Stai esagerando”
“Non ce n’era bisogno”
“Perchè devi fare qualcosa oltre ciò che è stato già fatto?”
“Potevi aspettare ancora”
“Questa è davvero troppo”.
In questi giorni, e nelle settimane precedenti, ne ho sentite veramente di ogni colore. Qualcuna giusta, altre un po’ meno. Affermazioni, però, che provano a dare un nome a tutto ciò.
Mi soffermo un attimo su ciò che andrò a cercare di compiere. Utilizzo il vero “Cercare” perché è proprio lì il nodo della questione.
La ricerca. La ricerca del proprio limite. La ricerca dell’essenza di una carriera intera, forse una vita sin qui, spesa per un ideale ed una passione che ad un certo punto ha messo a tacere tutto il resto.
Colori, sensazioni, emozioni, lacrime, sorrisi. Di tutto in questi 21 anni.
21 anni spesi cercando salite, montagne e luoghi in cui immedesimarsi nei grandi campioni del ciclismo.
Diciamola tutta, ad un certo punto quel “gioco di ricerca” è diventato serio, maledettamente serio. Il bambino che andava a caccia di autografi, di salite o di borracce si è ritrovato catapultato aldilà di quel muro.
Mi piacerebbe sapere che in questo preciso momento, un ragazzo, da qualche parte nel mondo, sta vivendo ciò che ho vissuto io quando ho iniziato a muovere i miei primi passi in bici.
Mi piacerebbe incontrarlo, conoscerlo, pedalarci, potergli dire “credici, continua a farlo, con giudizio e testa ben salda sulle spalle, ma senza smettere di sognare. Perchè un giorno potresti trovarti anche tu, aldilà di quel muro. Potresti ritrovare a pedalare nei luoghi più impensabili della terra”.
L’Artico, l’Europa, le grandi cime, l’inverno glaciale, il ghiaccio eterno.
Quante ne ho viste “di cose” con questi occhi.
Quanti luoghi ho pedalato seduto comodamente sulla mia sella.
Già, perché per molti la sella, ahimè, è uno strumento di tortura. Un posto dove poggiarsi temporaneamente in attesa di scendere quanto prima.
Per me è la poltrona sul mondo. La mia personalissima “Prima Fila”.
Quando ho comprato questo biglietto per la vita non avrei mai immaginato di arrivare a tanto. 23 salite di cui almeno 2/3 saranno degli over 2000 metri. Pirenei-Mont Ventoux-Alpi. Tutti insieme. Tutti in un colpo solo.
“Sei matto?”
Chiamare pazzia questo profondo atto di amore e passione verso il ciclismo sarebbe ingiusto e indecoroso. Scherzando, abbiamo ribattezzato la mia prossima avventura “Cime della Follia”.
Sono il primo a rendersi conto che, forse, questa volta andrò ben oltre il mio limite. Sono consapevole del fatto che non basteranno le mie preghiere per far si che il tempo da lassù mi assista.
Ho ancora indelebile nella mente il ricordo delle prime 30 ore della mia avventura da Parigi a Roma: pioggia a non finire, un freddo che mi rimase dentro le ossa anche nei mesi seguenti.
Condizioni che, in questo caso, mi costringerebbero al ritiro.
Sono consapevole, inoltre, che il ciclismo ha nell’ imprevedibilità una delle sue componenti più affascinanti.
Scendere a patti con i propri limiti, girarci intorno, giocarci come il gatto che cerca di stanare il topo. Questo farò.
E alla fine, se vorrete, vi dirò che nome ha tutto ciò.
Che nome ha la fatica? Tourmalet? Stelvio? Forclaz? Ventoux?